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Il fruttivendolo di Campo de’ Fiori

20 landestypische Kurzgeschichten
zum Italienischlernen

von
Giuseppe Fianchino
Claudia Mencaroni

PONS GmbH

Stuttgart

PONS

Il fruttivendolo di Campo de’ Fiori

20 landestypische Kurzgeschichten zum Italienischlernen

von

Giuseppe Fianchino
Claudia Mencaroni

Geschichten der Autoren im Einzelnen:

Giuseppe Fianchino: Geschichten 1 – 9, 13
Claudia Mencaroni: Geschichten 10 – 12, 14 – 20

Alle Personen und Handlungen sind erfunden. Ähnlichkeiten mit lebenden oder verstorbenen Personen und tatsächlichen Begebenheiten wären rein zufällig.

1. Auflage 2016

© PONS GmbH, Stöckachstraße 11, 70190 Stuttgart, 2016
www.pons.de

E-Mail: info@pons.de

Alle Rechte vorbehalten.

Redaktion: PONS Verlag

Projektleitung: Canan Eulenberger-Özdamar

Logoentwurf: Erwin Poell, Heidelberg

Logoüberarbeitung: Sabine Redlin, Ludwigsburg

Titelfotos / Illustrationen: shutterstock/Ziven, Weizenfeld: thinkstock/soleg, Toscana: thinkstock/francesco riccardo iacomino, Tomaten: thinkstock/Volosina, Dackel: thinkstock/TrinaLianne, Obststand: fotolia/pure-life-pictures

Covergestaltung: Anne Helbich, Stuttgart

Layout: PONS GmbH, Stuttgart

ISBN : 978-3-12-050117-6

EINIGE WORTE VORAB …

Sie lieben Italien, lesen gerne Kurzgeschichten und möchten etwas für Ihr Italienisch tun?

Dann haben Sie sich für das richtige E-Book entschieden! Mit 20 heiter bis skurrilen, spannenden, manchmal nachdenklichen, aber niemals langweiligen Kurzgeschichten tauchen Sie ins italienische Leben ein und frischen so ganz nebenbei Ihre Sprache auf. Unterwegs oder zu Hause – suchen Sie sich einfach Ihren Lieblingsplatz und lesen Sie los!

Die fett geschriebenen und nummerierten Wörter oder Ausdrücke zeigen, dass es hierzu Vokabelangaben gibt. Mit Klick auf ein fett geschriebenes und nummeriertes Wort öffnen Sie automatisch eine Fußnote mit der deutschen Übersetzung. Von hier können Sie zur Vokabelliste für das jeweilige Kapitel springen. Mit nochmaligem Klick auf das Wort in der Liste schließt sich diese wieder und Sie gelangen zurück zum Text.

Im Anhang können Sie nochmals alle Wörter und Ausdrücke in einer alphabetischen Wortliste nachschlagen.

Viel Spaß!

ÜBER DIE AUTOREN

Giuseppe Fianchino lebt und arbeitet in Sizilien. Auch nach Abschluss seines Jurastudiums schrieb er weiterhin regelmäßig für Zeitungen und Magazine. Wann immer er nicht seiner Tätigkeit als Jurist nachgeht, schreibt und erzählt er von den Dingen und Begebenheiten, die er auf seinen langen Reisen durch Italien und Europa erlebt. Seine Kamera dient dabei als Notizbuch und aus den Aufnahmen werden später Geschichten. Er liebt Katzen, Fußball und die Malerei der Renaissance, die man überall in italienischen Kirchen, Museen und Palästen finden kann.

Claudia Mencaroni lebt mit drei Männern in Rom – ihrem Mann und zwei Söhnen. Um gegen die männliche Wortkargheit anzukommen, bringt sie ihre eigenen Wörter an allen passenden Orten unter: sie schreibt, tippt, liest und – verständlicherweise – spricht sie auch sehr viel. Nachdem sie als Redakteurin tätig war, schreibt sie nun unter ihrem Nickname Caia Coconi seit 2009 regelmäßig wöchentlich im Internet über Themen wie Mode, Schönheit, freiberufliches Arbeiten, das Leben als Mutter, Kochen und Lifestyle. Ihre Ratgeber zu Mode und Mutterschaft sind beim Verlag Newton Compton veröffentlicht. In ihrer Freizeit zieht es sie ans apulische Meer, wo ihre Wurzeln liegen, sie bäckt gerne Pizza oder beginnt eines von zahlreichen kreativen Projekten.

INHALT

1. In estate si lavora

2. Aurelia

3. Ernesto

4. A cena con il gatto

5. Bartolo innamorato

6. Il vulcano

7. In bicicletta

8. La nonna si sposa

9. La statua di legno

10. Il bar di Gino

11. Estate in campagna

12. Il balcone del diavolo

13. L’Ape di Franco

14. Lecce-Arezzo solo andata

15. La parmigiana di melanzane

16. Il fruttivendolo di Campo de’ Fiori

17. Una cena in famiglia

18. Aspettando la Barcolana a Trieste

19. Torino magica

20. Una biblioteca come casa mia

FUSSNOTEN

WORTLISTE

1. IN ESTATE SI LAVORA

In estate preferisco il mare e ho accettato l’invito di Michele, un mio amico siciliano. Lui mi parlava spesso della Sicilia, la terra più a sud d’Europa, dove il sole è più forte e il mare più azzurro. Ho rinunciato così alla solita vacanza in Trentino con la mia famiglia. Michele viveva a Pachino, la città del famoso pomodoro. Potevo soggiornare nella sua casa sul mare. Un piccolo casolare1, ancora da finire, con il mare davanti, e i campi coltivati dietro. Michele mi diceva che la casa non era ancora completa, ma per me, abituato ai rifugi di montagna, andava benissimo. Non sopportavo più le passeggiate per i boschi e le cime della Val di Fassa. Il fascino del sole e di una casa, anche se non finita, in cui sarei stato tutto solo, dalla mattina alla sera, era fortissimo. Sono partito in aereo la prima domenica di luglio. Sarei rimasto in Sicilia per quindici giorni senza pensare ai cantieri2 e ai progetti. Michele era un bravo ragazzo, con pochi capelli. Quando parlava, a volte, esagerava3. Ma questa volta volevo fidarmi. Quello era il mio primo viaggio in Sicilia. Sono arrivato nel primo pomeriggio. Dall’aeroporto di Catania ho preso un autobus e dopo cinque ore di viaggio sono arrivato a Pachino. Michele mi aspettava alla fermata del bus. Abbiamo fatto subito un giro per il paese. Il caldo era terribile. Anche la sera l’aria era immobile e le pareti delle case sembravano termosifoni4 accesi. Michele viveva con i genitori. Il padre, un uomo con spalle e gambe solide, indossava una canottiera5, pantaloncini corti e scarponi, perché era appena tornato dal lavoro. La madre, una donna tonda, con i capelli bianchi corti, aveva un vestito a fiori e un grembiule. Potevano avere una sessantina di anni. Vivevano in una casa su tre piani, con un balcone e dei grandi garage al piano terra, dove c’erano delle macchine agricole. Alle nove in punto eravamo a tavola. Il padre di Michele per la cena si era messo un vestito elegante. La madre continuava ad andare avanti e indietro tra la cucina e la sala da pranzo con vassoi sempre più grandi. Abbiamo bevuto un ottimo vino rosso e mangiato non ricordo più quante pietanze. Dopo qualche portata e molti bicchieri di vino tutto mi girava intorno. Pachino ha una lunga tradizione in fatto di vini. La cena contava circa dodici portate tra pizze, arancini, caponata, pasta, altra pasta, tonno con cipolla, insalata di pomodori, sardine, cassata, sorbetto, gelato e frutta. Alla fine della cena a stento6 riuscivo a porgere i saluti, dare la mano, oppure scambiare qualche abbraccio e complimento per la mamma di Michele. Il padre di Michele insisteva nel dirmi che l’indomani ci saremmo visti. E anche i giorni seguenti. La cosa mi sembrava del tutto normale. Non avevo dubbi: altre meravigliose cene mi aspettavano. Dopo un altro abbraccio, un inchino e un baciamano per la mamma di Michele sono uscito di fretta per andare a riposare. La casa dove dormivo era ancora in costruzione, senza intonaco7 sulle pareti esterne e con delle finestre di alluminio. Dentro era rifinita, con il bagno, le mattonelle e tutto il resto. In giardino c’erano dei sacchi di cemento. Davanti si sentiva il rumore del mare. Intorno, tanti alberelli di mandorli e sul retro c’era un grande campo, forse di grano, ma era notte e non vedevo bene. La casa era fresca, mi addormentai8 subito.

La mattina dopo ho capito che il terreno dietro la casa era pieno di grano. Alle cinque e trenta un rumore fortissimo mi svegliava. Dalla finestra vedevo il padre di Michele che mi salutava dall’alto della sua trebbiatrice9. Il rumore era troppo forte. Non riuscivo a dormire, dovevo alzarmi. La sera prima avevo visto un bar, ma a quell’ora era ancora chiuso. Ho aspettato il proprietario e sono stato il primo a fare colazione. Sulla parete accanto alla cassa c’era l’orario degli autobus e dei treni. Alle sette ero già sulla spiaggia. Il mio era l’unico ombrellone. Michele è arrivato in spiaggia alle dodici. Si era scusato per il frastuono10, ma il grano andava raccolto. La sera ci aspettava l’antica città di Siracusa con il suo duomo costruito su un antico tempio greco. Siamo tornati tardi. Io mi sono buttato sul letto ancora vestito, dopo essermi già addormentato in macchina. Prima di sprofondare nel sonno, ho aperto la finestra per far entrare tutta l’aria fresca della campagna. La mattina dopo, il padre di Michele, alle sei in punto, infilava la testa dentro la finestra e urlava: “Buongiorno architetto!”. Io cercavo di coprirmi con il lenzuolo e riprendermi dallo spavento, ma lui continuava a tenere la testa dentro casa e illustrava il programma della mattina: completare i lavori della casa. Era un gesto di riguardo11 per me: un architetto non poteva stare in una casa ancora da completare. Poco dopo i muratori erano in casa con tutti i loro attrezzi sparsi ovunque: un cantiere edile in piena attività. Proprio la cosa da cui scappavo. Anche quella mattina la saracinesca12 del bar era ancora chiusa. Ho aspettato e dopo la colazione guardavo di nuovo gli orari dei bus e dei treni. Alle sette piantavo il mio ombrellone in spiaggia. Quel giorno Michele mi garantiva che avrebbero terminato presto i lavori. Non era vero, il lavoro è continuato senza soste, per tutti gli altri giorni, anche di sabato. In quella prima settimana ho fatto amicizia con il tizio del bar. Mi raccontava che veniva spesso a Roma a trovare la figlia. Lui aveva paura dell’aereo e preferiva viaggiare in treno. Raccontava che da Siracusa ogni sera partiva un treno diretto per Roma. Il treno aveva delle cuccette splendide e ci si dormiva meglio che in albergo. Michele cercava di farsi perdonare e mi ha portato a vedere le città barocche del sudest: Noto, Modica, Ragusa, Scicli. Era un’ottima guida. Mi raccontava dell’architettura, della storia e delle piazze di queste città. Poi mi rimpinzava13 con pizze di ogni genere. Offriva tutto lui. Io però ero molto stanco. Non riuscivo a riposare. Uscivo da casa alle sei in punto del mattino e tornavo a notte fonda. Una vacanza terribile. Aspettavo la domenica per dormire a lungo. Michele mi garantiva che la domenica non sarebbe venuto nessuno. Sapevo che di lui non potevo fidarmi14, ma sulla domenica non avevo dubbi e già pregustavo la dormita. La domenica, prima dell’alba, ho sentito dei rumori. Mi sono alzato e sono andato a vedere. Dietro la casa c’erano il padre e la madre di Michele con tante altre persone e un grande pentolone. Erano le cinque del mattino. Io volevo dormire e rimanere a letto. Dopo un’ora Michele entrava direttamente nella stanza da letto. Diceva che quello era un gran giorno. Tutta la famiglia voleva mostrarmi una delle tradizioni siciliane più antiche: la conserva15 del pomodoro. Non potevo fare altro che alzarmi e ringraziare. Quella mattina ho imparato a preparare chili e chili di salsa di pomodoro. Michele mi spiegava che l’estate in Sicilia era la stagione dell’anno in cui si lavorava di più. Si raccoglievano il grano e molti altri frutti della terra e si preparavano le conserve per l’inverno. Un rito che impegnava tutta la famiglia fino al tramonto del sole. Durante la prima settimana in Sicilia ho imparato molte cose: soprattutto rinunciare al sonno. Mi alzavo presto e aspettavo i muratori sulla porta, iniziavo a chiacchierare con loro e davo qualche dritta16 sui materiali. Il padre di Michele apprezzava molto. Dopo andavo al bar a scambiare qualche battuta17 con il tizio della cassa, poi in spiaggia davanti a un mare pulito e trasparente come una cartolina. Con Michele giravo e osservavo questo pezzo di Sicilia, luminoso e affascinante. Dormivo tre ore per notte e pensavo sempre più spesso al treno che partiva ogni sera da Siracusa. Così alla fine ho preso una decisione. Non sono tornato a Roma in aereo, ma in treno, dentro una cuccetta, dove ho dormito per undici ore di fila: da Siracusa a Roma.

2. AURELIA

Nei primi anni Sessanta mio nonno era un uomo ricco. Viveva a Roma, dove costruiva case ed edifici nuovi. Aveva anche una villa per le vacanze a Santa Marinella, una piccola località balneare1 distante quasi sessanta chilometri da Roma. Una villa sul mare con il giardino dove per anni ho passato le vacanze con la mia famiglia. L’altro giorno ho trovato una foto dentro un cassetto2. Nella fotografia ci sono io seduto sul cofano di una macchina cabrio. Accanto si vede il nonno con un vestito elegante: sotto c’è scritto “Santa Marinella, estate del 1962”. Ricordo ancora quell’auto, una “Lancia Aurelia B24” bianca, una macchina che per mio nonno voleva dire estate e riposo. E per me gite in automobile, corse, nuotate e tante risate. Con l’Aurelia partivamo da Roma e andavamo al mare a Santa Marinella. A bordo dell’Aurelia ho perso non so quanti berretti. Nelle calde giornate di luglio mia madre mi infilava sulla testa questi cappelli bianchi, spesso bagnati, per proteggermi dal sole. Ma appena mio nonno partiva con la sua spider il cappello volava via. Mia madre diceva “Ecco, ora Marcellino si prende un’insolazione3!” Mio nonno si metteva a ridere. Era simpatico il nonno e io impazzivo per quella macchina. La macchina si chiamava come la strada Aurelia, una delle più importanti d’Italia: la strada statale numero 1 (sulle carte stradali la si trova indicata come la SS1). Tutti la chiamano semplicemente Aurelia.

Lungo i suoi chilometri trovi la storia antica e lo sviluppo economico4 del paese. Ma forse il nome più corretto è: Via Aurelia. L’Aurelia, infatti, è una via di comunicazione costruita dai romani nel terzo secolo avanti Cristo. All’inizio collegava Roma a Cerveteri e man mano che gli antichi romani conquistavano un nuovo territorio, la strada si allungava. Sono arrivati fino ad Arles, in Francia.

Con il nonno e la mamma partivamo dal centro di Roma e percorrevamo l’Aurelia fino alla villa al mare. Il nonno spesso mi diceva: “Qualche volta invece di fermarci a Santa Marinella andiamo fino in Francia”. L’Aurelia attraversa il Lazio, la Toscana e la Liguria, sempre vicino al mare Tirreno. Quando ti allontanavi dal mare, il paesaggio cambiava e scoprivi un pezzo nuovo, i terreni coltivati, le piccole città come Capalbio, Castiglioncello. Per il nonno era la strada che portava al mare dopo una settimana di lavoro. Una strada caotica nei pressi di Roma, che poi, usciti dalla città, diventava più larga. Quando il traffico si diradava5, il nonno iniziava a correre e la mamma diceva:

“Tieni stretto il cappello!”. E subito dopo il berretto volava via. Un giorno il nonno ha venduto la macchina e io non ho mai capito bene perché. Quando chiedevo, lui mi rispondeva: “Le macchine si cambiano ogni due anni”. Nessuna macchina è stata divertente come quella.